Welfare aziendale e previdenza integrativa: quali possibili agevolazioni per azienda e dipendenti?

La legge di Stabilità 2016 ha previsto, come novità, che il contratto aziendale o territoriale possa contenere la possibilità di scelta – in capo al dipendente – fra i premi di produttività, le somme ed i valori di cui all’art. 51 del TUIR comma 2 e comma 3 ultimo periodo, senza che questi entrino a far parte del reddito da lavoro dipendente.

Perciò, ove il contratto lo preveda, il lavoratore può scegliere di non ricevere in tutto o in parte le somme detassate e di fruire in alternativa di somme e valori dell’art. 51 del TUIR (esempio contributi versati dal datore di lavoro a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale oppure sotto forma di contributi al fondo di previdenza complementare) senza che questi ultimi vadano a formare il reddito di lavoro dipendente nei limiti già previsti dal TUIR.

Per il datore di lavoro, l’importo dei contributi versati alla cassa di assistenza e a fondi pensione costituisce costo per lavoro dipendente integralmente deducibile dal reddito d’impresa calcolato ai fini IRES.

Un’ulteriore agevolazione di cui usufruiscono i contributi a carico del datore di lavoro versati alle Casse di assistenza è la ridotta aliquota contributiva sociale prevista dall’ art. 6, del D. lgs 2 settembre 1997 n. 314. I suddetti contributi, in luogo della contribuzione sociale ordinaria, sono infatti soggetti ad un contributo di solidarietà del 10% che deve essere devoluto alle gestioni pensionistiche di legge cui sono iscritti i lavoratori; tale contributo del 10% a carico del datore di lavoro è previsto anche per i contributi aggiuntivi a Fondo Pensione.

La previdenza complementare fa riferimento a due principi normativi che ne affermano la deducibilità: l’art. 51, comma 2, lettera h) del TUIR e il D.LGS. 252/2005 all’art. 8 comma 4. Il primo stabilisce il diritto alla deduzione dei contributi versati, mentre il secondo è una norma tecnica di individuazione dei limiti e delle modalità di deduzione.

Dall’1 gennaio 2007 un aggiornamento della normativa ha previsto che gli aderenti alle forme pensionistiche complementari possano dedurre i contributi versati su base volontaria fino all’importo massimo di 5.164,57 euro, indipendentemente dalle categorie, dall’ammontare del loro reddito, e dal versamento delle quote di TFR. Il superamento della soglia determina la perdita dei benefici dovuti alla defiscalizzazione.

NB – Le forme pensionistiche complementari hanno la finalità di garantire un reddito futuro al dipendente, stante la riduzione della quota di spettanza INPS, e di conseguenza è necessario che la deduzione dal reddito complessivo sia riconosciuta a fronte dei contributi versati:

  • ad una forma pensionistica complementare istituita su base contrattuale collettiva (fondi pensione chiusi o aperti);
  • ad una forma pensionistica individuale attuata mediante adesione ai fondi pensione aperti;
  • ad una forma pensionistica individuale attuata mediante contratti di assicurazione sulla vita.

Il dipendente iscritto a un fondo pensione ha quindi la possibilità di destinare una parte o l’intero ammontare del suo portafoglio welfare come integrazione al contributo previdenziale versato dal datore di lavoro.

Previdenza integrativa, chi prima inizia è già a metà dell’opera

Un famoso proverbio recita: “Chi ben comincia è già a metà dell’opera”. Parafrasando questo proverbio si potrebbe dire che, nell’ambito del percorso per la costruzione della propria pensione di scorta, chi prima inizia è già a metà dell’opera, anzi più della metà.

Facciamo un esempio numerico. Ipotizziamo che un lavoratore dipendente abbia cominciato ad accumulare versamenti per costituire la propria pensione integrativa nel dicembre 1979 versando 100 euro al mese (ovvero 193.600 lire fino al 1998 e 100 euro successivamente) in un fondo pensione azionario globale internazionale: per semplicità, utilizzeremo l’MSCI world index che replica l’andamento di tutte le Borse mondiali. Al 31 luglio 2015 avrebbe versato, complessivamente, 42.800 euro in circa 36 anni accumulando quote il cui controvalore sarebbe stato pari a 205.887 euro. Se, il primo versamento fosse stato effettuato 10 anni dopo, ovvero nel dicembre 1989, per accumulare lo stesso importo al 31 luglio 2015, 26 anni dopo, avrebbe dovuto versare ogni mese 295 euro, per un totale complessivo di 90.860 euro, cioè più del doppio rispetto ai versamenti iniziati 10 anni prima. Se poi il primo versamento fosse stato posticipato addirittura al dicembre 1999, il lavoratore avrebbe dovuto versare 670 euro al mese fino al 31 luglio 2015 (per un totale di 125.290 euro) per accumulare lo stesso montante. Ecco perché si può affermare che chi prima inizia a versare nel fondo pensione integrativo è già a metà (e più) dell’opera. Fonte: http://www.giornatanazionaledellaprevidenza.it/