Le novità del Jobs Act per gli autonomi

Lo scorso 10 maggio è stato approvato in via definitiva il tanto atteso Disegno di Legge n. 2233, recante “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Il Capo I del DDL è interamente dedicato al lavoro autonomo non imprenditoriale.

Tra le novità di maggior rilievo per i lavoratori autonomi, vi è la previsione secondo cui debbono considerarsi abusive e prive di effetto le clausole contrattuali che danno al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali o, nel caso di contratto avente a oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso. Con riferimento ai termini di pagamento, si prevede che sono da considerarsi abusive le clausole mediante le quali le parti concordino termini di pagamento superiori a 60 giorni.

Inoltre, è stata disposta l’introduzione di una disciplina più favorevole in caso di infortunio, malattia e gravidanza per i lavoratori che svolgono un’attività di tipo continuativo nei confronti dello stesso committente. In tali fattispecie, il rapporto di lavoro potrà essere sospeso fino a un massimo di 150 giorni salvo, tuttavia, che venga meno l’interesse alla prestazione da parte del committente.

Anche in tema di maternità, si prevede un importante aspetto innovativo: le lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata INPS potranno usufruire dell’indennità di maternità indipendentemente dall’effettiva astensione dal lavoro. Anche per quanto riguarda i congedi parentali, viene estesa la durata degli stessi fino a un massimo di 6 mesi da fruire entro i primi 3 anni di vita del bambino.

Appare condivisibile l’aumento della deducibilità delle spese sostenute dai lavoratori autonomi e dalle lavoratrici autonome per la formazione. Viene in tal senso modificato l’art. 54 comma 5 del T.U.I.R: le spese per la partecipazione a congressi, master, convegni e corsi di aggiornamento saranno interamente deducibili entro il limite annuo di 10.000 euro. Saranno, altresì, deducibili integralmente le spese sostenute dal lavoratore autonomo, fino a un massimo di 5.000 euro, per servizi personalizzati di certificazione di competenze, orientamento, ricerca, addestramento e sostegno dell’auto-imprenditorialità.

Mamme penalizzate sul lavoro e sulla pensione

Il 30% delle donne occupate ha lasciato il lavoro dopo la gravidanza. A dirlo è l’Istat, sottolineando che il tasso di abbandono del lavoro per le donne al di sotto dei 50 anni (nate dopo il 1964) è al 25%. Il dato risente anche della crisi: tra il 2005 e il 2012 il tasso di abbandono è passato dal 18,4% al 22,3%. Il nostro Paese, dunque, è ancora caratterizzato da una alta sproporzione dei ruoli nella coppia, solo il 28% delle ore di lavoro di cura della coppia con figli sono svolte dagli uomini. Colpa anche di una bassa offerta dei servizi per l’infanzia che rende sempre più difficile per le donne conciliare il doppio ruolo (lavoratrice e madre), soprattutto per le neo mamme (dal 38,6% del 2005 al 42,7% del 2012).

Se si guarda oltre la maternità, risulta comunque che quasi una donna su quattro (22,4%) con meno di 65 anni interrompe l’attività lavorativa per motivi familiari, contro appena il 2,9% degli uomini. Oltre ad avere più interruzioni per motivi familiari, i percorsi lavorativi delle donne sono più spesso caratterizzati da lavori atipici: tra gli occupati, di età compresa tra i 16 e i 64 anni nel 2009 solo il 61,5% delle donne ha avuto un percorso interamente standard, contro il 69,1% degli uomini.

Inoltre, dagli anni ’90 è progressivamente aumentato il part-time femminile (dal 21% del 1993 al 32,2% del 2014), con conseguenti minori livelli medi di retribuzione e importi più bassi dei contributi versati. A ciò va aggiunto che la quota delle lavoratrici irregolari è superiore a quella maschile, con un valore pari all’11,1% contro l’8,9% (media triennio 2010-2012).

Il gap di genere presenta sostanziali divergenza anche dopo. Lo scorso anno (2014) la maggioranza delle donne (52,8%), rispetto ad appena un terzo degli uomini, ha percepito redditi pensionistici mensili inferiori a mille euro ( il 15,3% è sceso sotto i 500 euro). I dati provvisori dicono che solo il 10,2% delle pensionate percepisce un reddito mensile pari o superiore ai 2 mila euro, rispetto al 23,9% dei pensionati maschi. Fonte: http://www.giornatanazionaledellaprevidenza.it